Per quanto riguarda zoom io userei strumenti per videochiamate alternative ma se si è obbligati....
La versione tradotta in italiano da Riccardo Coluccini
alcuni_consigli_per_proteggere_la_privacy.pdf |
Le app di messaggistica da usare, quelle per le manifestazioni, come disattivare la geolocalizzazione e altri accorgimenti. Per quanto riguarda zoom io userei strumenti per videochiamate alternative ma se si è obbligati.... La versione tradotta in italiano da Riccardo Coluccini
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Riprenditi la faccia In tutta Europa forze di polizia, autorità locali e aziende private stanno segretamente diffondendo tecnologie sperimentali e invasive che tracciano, analizzano e trasformano in oggetti i nostri volti e i nostri corpi mentre ci muoviamo negli spazi pubblici. Questi ultimi sono da difendere poiché in essi i nostri diritti, le nostre libertà e le nostre comunità siano protetti. Lo spazio pubblico è il luogo in cui ci riuniamo, stiamo insieme, condividiamo esperienze; ma anche dove passeggiamo, organizziamo incontri con la nostra comunità e teniamo discussioni politiche. Uno spazio in cui protestiamo contro le ingiustizie, siamo attivi. Tutte queste attività sono minacciate dal fatto che le autorità locali europee, le forze di polizia e le aziende private diffondono tecnologie di riconoscimento facciale che tracciano e prendono di mira le persone negli spazi pubblici. Non accetteremmo mai che una persona ci segua costantemente monitorando e valutando chi siamo, cosa facciamo, quando e dove ci muoviamo. Il riconoscimento facciale, insieme ad altre tecnologie biometriche utilizzate negli spazi pubblici, agisce proprio in questo modo, trasformando ognuno di noi in un potenziale sospetto. Studi dimostrano come queste tecnologie amplifichino la discriminazione e siano utilizzate per perseguire persone colpevoli di esercitare semplicemente i propri diritti. Almeno 15 paesi europei—in continuo aumento—hanno sperimentato tecnologie di sorveglianza biometrica come il riconoscimento facciale negli spazi pubblici. Dall’altra parte, negli Stati Uniti 5 grandi città hanno già vietato l’uso del riconoscimento facciale. Nell’Unione Europea, l’introduzione affrettata di costose tecnologie di sorveglianza che tracciano i nostri volti e i nostri corpi viene fatta senza considerare i danni che potrebbe causare alle nostre società, e a come la nostra socialità cambia in presenza di questi dispositivi. Dobbiamo agire subito e riappropriarci dei nostri spazi pubblici in quanto santuari democratici! Quasi fatto! Fai il passo successivo.Bene, hai firmato.👍. Per ampliare il tuo impatto, condividi ovunque per far sì che tutti vedano questa petizione. 🙏. ReclaimYourFace: Ban Biometric Mass SurveillanceHermes Center for Transparency and Digital Human RightsHo firmato la petizione di ReclaimYourFace per chiedere di proteggere i nostri spazi pubblici dalla sorveglianza di massa biometrica—lo farai anche tu? Chiediamo trasparenza su dove e come queste tecnologie di sorveglianza vengono utilizzate e la possibilità di esprimere la nostra opposizione ad esse. Come coalizione intereuropea della società civile e della popolazione, chiediamo ai nostri paesi di rivelare e rifiutare l’uso della sorveglianza biometrica che potrebbe avere un impatto sui nostri diritti e sulle nostre libertà negli spazi pubblici. Questa petizione fa parte di una campagna coordinata insieme ad altre 8 associazioni della società civile che si trovano in altri paesi europei. Visita il sito ReclaimYourFace.eu per scoprire cosa sta accadendo negli altri paesi. Leggi sotto per scoprire cosa chiediamo in Italia e quali tecnologie sono già impiegate. Firma ora per riprenderti la faccia! Se vuoi puoi anche supportare economicamente la nostra campagna facendo una donazione qui! Le nostre richieste Chiediamo trasparenza su dove e come queste tecnologie vengono utilizzate e la possibilità di esprimere la nostra opposizione a questa tecnologia distopica. Come coalizione intereuropea della società civile e della popolazione, chiediamo ai nostri paesi di rivelare e rifiutare l’uso della sorveglianza biometrica che potrebbe avere un impatto sui nostri diritti e sulle nostre libertà nei nostri spazi pubblici.
Cosa sta accadendo in Italia? In Italia, l’impiego di tecnologie di riconoscimento biometrico e facciale è già ampiamente diffuso su due diversi livelli: uno nazionale e uno locale. Nel primo caso, il Ministero dell’Interno ha acquistato e attivato il sistema SARI per il riconoscimento automatico dei volti. Ogni immagine raccolta dalle milioni di videocamere distribuite nelle nostre città può finire all’interno di questo sistema durante le indagini della polizia scientifica. La polizia ha già dimostrato di non avere alcun interesse affinché il Garante privacy intervenga: nel provvedimento del Garante, infatti, il Ministero ha sbrigativamente affermato che il riconoscimento facciale è un mero upgrade al riconoscimento manuale compiuto in precedenza. Eppure la comunicazione iniziale dei volti contenuti nel database di SARI ha subito mostrato la scarsa valutazione dei rischi del riconoscimento facciale e l’incapacità di controllare adeguatamente il sistema da parte della polizia: dai 16 milioni di volti inclusi nel sistema si è scesi a 9 milioni, senza però offrire un dettaglio granulare delle tipologie di persone che sono incluse nel database—non è chiaro capire, ad esempio, quanti di queste siano migranti o persone di colore. Allo stesso tempo, in risposta a un’interrogazione parlamentare, il Ministero dell’Interno ha dichiarato che SARI non crea nessun nuovo database ma questa affermazione è facilmente smentita dai documenti tecnici e di collaudo ottenuti e pubblicati online in diverse inchieste giornalistiche. Inoltre, la richiesta di informazioni sull’accuratezza e i bias del sistema non vengono ascoltate: le uniche valutazioni di uno degli algoritmi sono vecchie di anni. E come se non bastasse, da due anni rimane ancora aperta l’istruttoria del Garante privacy per valutare l’impiego del sistema SARI nella sua versione Real-Time, ovvero da utilizzare durante manifestazioni di piazza e negli spazi pubblici. D’altronde, stessa sorte è toccata all’istruttoria aperta nei confronti del sistema CRAIM usato per il riconoscimento vocale delle voci dei cittadini presenti sui video disponibili online. A livello locale, invece, i comuni italiani stanno aumentando il numero di videocamere cittadine convinti che queste possano diminuire la percezione di insicurezza ma a scapito della realtà dei fatti: l’obiettivo è puramente politico ed è quello di fomentare la paura malgrado i reati commessi in Italia siano in calo da anni. La sorveglianza viene quindi descritta alla stregua di uno strumento di solidarietà e partecipazione collettiva--nel caso di Cuneo le spese per l’installazione vengono fatte persino gravare direttamente sui cittadini. Ma l’esperimento più distopico che riassume l’approccio locale al riconoscimento facciale è offerto dalla città di Como: a fronte di una completa distorsione della percezione di sicurezza in alcuni spazi cittadini, il comune di Como ha sprecato soldi pubblici per installare un sistema di riconoscimento facciale che è stato giudicato illegale da un provvedimento del Garante privacy. Il sistema è quindi spento ma dimostra come una valutazione miope dei rischi del riconoscimento facciale e la mancanza di trasparenza siano endemici: nella valutazione d’impatto sulla privacy dei cittadini il comune di Como aveva infatti trattato il riconoscimento facciale come un vecchio strumento di videosorveglianza classica. Anche in questo caso è stata depositata un’interrogazione parlamentare in merito. Il caso di Como è emblematico per quanto riguarda il comportamento ingenuo e naif delle amministrazioni locali che, per perseguire scelte politiche securitarie, affidano il controllo dello spazio pubblico ad aziende private che agiscono nel loro interesse e non di quello dei cittadini. Al momento, altre città hanno dichiarato di voler introdurre sistemi di riconoscimento facciale e biometrico, come ad esempio nel caso di Udine e Torino—in quest’ultima il sistema dovrebbe essere in grado di analizzare i flussi video per individuare le persone e monitorare oggetti e indumenti. Inoltre, sempre più spesso stadi di calcio stanno testando tecnologie di riconoscimento facciale da utilizzare sui tifosi. Hacker's Dictionary. Non ci sono solo i software che spiano mogli e mariti, diplomatici e giornalisti. La Electronic Frontier Foundation ha individuato e analizzato decine di software di sorveglianza che non rispettano la privacy e la dignità dei lavoratori
Ci eravamo appena abituati a fare i conti con malware, spyware e stalkerware, ed ecco pronta la nuova ondata di software specializzati nella sorveglianza di chi lavora da casa, i bossware. In realtà sono tutti «software spia» che fanno più o meno le stesse cose ma con finalità e target diversi. Se vengono usati per lo spionaggio politico-giudiziario, li chiamiamo spyware; applicati al monitoraggio di bambini, mogli e mariti, gli diamo nome stalkerware; quando modificano il funzionamento di altri software trasformandoli in piccoli spioni da portare in tasca, li chiamiamo genericamente malware, per sottolinearne l’intento malevolo. Possono monitorare di nascosto ciò che digitiamo, leggere i nostri messaggi, fotografare lo schermo, controllare dove siamo, ascoltare il microfono e guardarci attraverso la videocamera. Il Bossware però tutte queste cose le fa per conto del tuo datore di lavoro e senza che tu lo sappia, mettendo a rischio la privacy tua e della tua famiglia. La Electronic Frontier Foundation (EFF) nell’analizzarli ha scoperto che i venditori di bossware fatturano i propri strumenti come software di «monitoraggio automatico del tempo» o «analisi dell’ambiente di lavoro», e altre volte li presentano come strumenti contro la violazioni dei dati o il furto di proprietà intellettuale. Ma, avverte, «quando una casa diventa un ufficio, rimane pur sempre una casa». E poi: «I lavoratori non dovrebbero essere soggetti a sorveglianza non consensuale timorosi di perdere il lavoro». Il tipo più comune di sorveglianza è il «monitoraggio dell’attività» che include l’elenco delle applicazioni e dei siti web utilizzati dai lavoratori compresi posta elettronica e i post sui social. La maggior parte dei bossware registra anche le battute al minuto, utilizzandole come indice di produttività. Due di questi, StaffCop Enterprise e CleverControl, consentono ai datori di lavoro di attivare segretamente webcam e microfoni sui dispositivi dei lavoratori. Work Examiner evidenzia invece la sua capacità di acquisire anche le password private. Il bossware può essere distribuito come un’app visibile o come processo in background che i lavoratori non possono vedere: dipende dalla configurazione scelta. Quando il funzionamento del software è visibile, la sua attivazione e disattivazione funziona come il timbro del cartellino. Ma se si cancellano particolari «screenshot» dalla sessione di lavoro, il software eliminerà anche il tempo di lavoro associato che verrà detratto dalla paga Il bossware di Teramind, Time Doctor, StaffCop è invece progettato per essere difficile da rilevare e rimuovere. Awareness Technologies, proprietaria di InterGuard, ha affermato di aver aumentato la propria base di clienti di oltre il 300% soltanto nelle prime settimane dopo l’epidemia di Covid. Alcune delle più grandi aziende del mondo utilizzano bossware. Time Doctor dichiara 83.000 utenti tra cui Ericsson, Verizon e Re/Max. ActivTrak è utilizzato da oltre 6.500 organizzazioni, scuole comprese. StaffCop e Teramind hanno clienti in settori come sanità, banche e call center. Work Examiner e StaffCop si propongono direttamente ai manager che non si fidano del proprio personale e raccomandano di legare licenziamenti o bonus alle metriche delle prestazioni derivate dai loro prodotti. InterGuard pubblicizza che il suo software «può essere installato silenziosamente e da remoto, in modo da poter condurre indagini segrete sui lavoratori». Tutti questi strumenti sono teoricamente fuorilegge in Italia in assenza di un accordo sindacale o dell’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro. Ma voi, avete mai controllato se avete un bossware nel computer aziendale? IL MANIFESTO Arturo Di Corinto 27.08.2020 |
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