A chi difende ingenuamente Renzi o per chi lo vede, da lavoratore, come una speranza, consiglierei di meditare su tre punti del Job acts:
Primo)
attraverso il decreto Poletti, imprenditori e confindustriali incasseranno il regalo che reclamavano da tempo: la possibilità di assumere a tempo determinato, per trentasei mesi, fino al venti per cento dell’intero organico aziendale, senza bisogno di prevedere causali di qualsivoglia tipo. Non solo. In quell’arco di tempo l’azienda potrà reiterare il contratto quante volte vorrà. Ciò significa che un lavoratore potrebbe vedersi rinnovare il contratto di settimana in settimana: tre anni con la lama sul collo, in balia del padrone, della sua volontà, dei suoi umori, dei suoi ricatti.
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e di immediata applicazione, riguarda l’apprendistato, un rapporto di lavoro che la legge in vigore già protrae fino a cinque anni e che è marchiato da una pesantissima decurtazione salariale (la paga base vale il 35% della retribuzione piena) e da una risibile contribuzione. Bene: Renzi vi aggiunge, di suo, che per assumere nuovi apprendisti non sarà più necessario avere prima confermato almeno il 50% di coloro che erano stati assunti in precedenza. Dunque, d’ora in poi, sarà consentito un turn-over illimitato di manodopera giovane, a bassissimo costo, per definizione “usa e getta”. Per sovrapprezzo, “l’obbligo di integrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con l’offerta formativa pubblica” diventa un elemento discrezionale.
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Terzo)
il disegno di legge che conterrà l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i nuovi assunti nei primi tre anni, durante i quali, il datore di lavoro che vorrà liberarsi senza “giusta causa” di un lavoratore potrà farlo tranquillamente, non solo senza più rischiare l’obbligo della reintegrazione nel posto di lavoro in ragione di una sentenza della magistratura (a questo avevano già pensato Monti e Fornero), ma senza neppure dovere risarcire il dipendente cacciato elargendogli la mancia di poche mensilità. Poi, passati i tre anni, secondo il Job act l’articolo 18 tornerebbe in auge, ovviamente nella sola forma di lievissimo deterrente economico.
La “magnifica riforma” non spiega però cosa accadrebbe nella probabilissima ipotesi che al termine di quei tre anni di moratoria un lavoratore fosse licenziato e trovasse occupazione presso un’altra azienda: tutto lascia pensare che per lui comincerebbe da capo la via crucis e che il suo destino di “paria” senza diritti si protrarrebbe per un tempo illimitato, forse per sempre.
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Tratto da controlacrisi.org